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SISTEMA EMILIA-GLOBO: DISASTRO AMBIENTALE ED ECOCIDIO? ALLE RETORICHE DEI GOVERNANTI RISPONDIAMO CON MUTUALISMO E SOLIDARIETA’, CURA E RIBELLIONE
L’Emilia-Romagna, negli ultimi tempi, è stata protagonista di diverse alluvioni che hanno avuto ripercussioni a livello sociale e ambientale.
Prendiamo in considerazione l’aspetto geografico della regione che si trova nell’area del Po, zona soggetta a rischio alluvionale. Il fattore geografico non può essere la giustificazione ai disastri che questa situazione ha creato: distruggendo case, vite, attività.
LA REGIONE EMILIA ROMAGNA è UNA DELLE REGIONI PIU’ CEMENTIFICATE, RIEMPITA DA RETORICHE GREEN CHE ALLA FINE SI DIMOSTRANO DANNOSE PER L’INTERA POPOLAZIONE.
Vengono smantellati pezzi di natura per creare poco utili e nocive strutture, infrastrutture e mezzi, speculando e danneggiando il territorio.
Do you remember Passante Nord, contro il quale si è attivata una campagna di lotta che è di giustizia ambientale e sociale? E l’indifferenza delle istituzioni, locali quanto sovralocali, nell’accoglimento anche fosse parziale di istanze doverose, quanto espressione di una esigenza di tante persone che sviluppano anticorpi comuni contro le nocività.
ANCHE IN QUESTA OCCASIONE ABBIAMO VISTO ATTIVARSI MOLTI VOLONTARI CHE IN MODO AUTORGANIZZATO HANNO DATO SUPPORTO IN QUALSIASI MANIERA POSSIBILE.
L’AUTOGESTIONE COME SEMPRE DA’ VITA A MAGNIFICHE MODALITA’ DI INTENDERE I RAPPORTI SOCIALI FUORI DAL PROFITTO.
Quello attuale è uno dei momenti più duri per l’intera regione oltre che capoluogo e dintorni ancora isolati dalla seconda guerra mondiale all’oggi. Guerra che riecheggia sempre più fragorosamente ai margini della “Fortezza” Europa, con Stati Uniti a decidere la scelta sull’ approccio bellico con il quale approfondire la crisi internazionale, fatta infiammare dall’aggressione e la furia genocida del vassallo Israele.
Pur non volendo assolutamente collegare i fattori endogeni di ecocidio e genocidio, la voracità capitalistica e di dominio di fondo dell’uomo su “altro”, “oltre” ne sono la concausa determinante.
Contiamo migliaia di sfollate, stime miliardarie per ricostruzione e riprogettazione, con fondi comuni posticipati al 2027.
Ai blackout e alcuni disfunzionamenti del sistema idraulico, smottamenti e frane sempre più evidenti, rispondiamo ponendo maggior attenzione a ciò che ci circonda, alle nostre interazioni con l’habitat, alla coordinazione mutualistica e aperta alle differenze. Come si è detto a gran voce nelle composite giornate della rete NoG7 Salute ad Ancona, culminate con la Street del 12/10: “Se il sistema è malato, la ribellione è la cura!”
[Vedi foto/deco/discorso del carro a tema “ecologia e salute dei territori” Emilia/Nord]
E il cambiamento climatico antropico, accelerato e in qualche modo coaudiuvato dalle ingiustizie e del capitalismo avanzato, necessità di ribellione quanto di prese di parola e espressione, anche di incontro-scontro con sistemi e concatenazioni di pensiero apparentemente simili o difformi, nell’ordine delle possibilità. Qui a Bologna sappiamo, soprattutto in queste ore di grande frenesia, nonchè di messaggi ipocriti da Governanti e oppositori mediatici, quanto autogestione, cura, ribellione siano componenti ineludibili affinchè una macchina collettiva parta e funzioni oltre ogni ostacolo, ogni repressione.
Se questi eventi calamitosi da un lato non possono vedere risposte totalmente efficaci, anzi passibilmente deturpanti, dalle leve del comando, nel breve termine sono destinati a crescere di numero, furia e intensità, e la resistenza ecologica e umana non può non nutrirsi della capacità autogestionaria a 360° di singolx e corpi collettivi. Dalla difesa dei territori e le forme di manifestazione scelte.
Proprio parlando di manifestazioni, riportiamo quella svoltasi ieri, tassello per auspicabili mobilitazioni maggiori nel breve termine:
“Oltre un migliaio di persone hanno partecipato al corteo e alla manifestazione promossa oggi pomeriggio a Bologna da Comitato Besta BO, Comitato contro ogni autonomia differenziata ER, Confederazione Cobas BO, Legambiente ER, Parents for Future BO, Rete Emergenza Climatica e Ambientale ER, Un altro Appennino è possibile, USI CIT BO, MO, PR e RE Un corteo e una manifestazione importante, partecipata e determinata che ha ribadito la richiesta di un cambio di rotta radicale nelle politiche di carattere ambientale sin qui messe in campo. Con essa abbiamo inteso contrastare l’inaccettabile negazionismo del governo, che continua colpevolmente a non mettere in campo piani seri ed efficaci per contrastare il cambiamento climatico e procedere verso la transizione ecologica, e anche la forte assenza e le politiche sbagliate prodotte dalla Regione Emilia-Romagna su questo terreno, a partire dal tanto magnificato Patto per il lavoro e il clima del 2020. La manifestazione, assieme alla vicinanza con le popolazioni colpite dalle quattro alluvioni in Emilia-Romagna nell’ultimo anno e mezzo, ha inteso evidenziare anche le scelte alternative che si tratta di introdurre e che investono l’insieme del modello produttivo e sociale dominante. In particolare, nostri obiettivi sono riassumibili nei seguenti punti: uscita dall’economia del fossile; difesa, ripubblicizzazione ed estensione dei beni comuni; moratoria su tutte le opere che prevedono ulteriore consumo di suolo; cancellazione della legge regionale urbanistica 24/2017 e sua radicale rivisitazione; moratoria e ridiscussione delle grandi opere stradali in rapporto ad un’idea alternativa di mobilità; stop a nuovi impianti a fune volti a incrementare i comprensori sciistici da discesa con grave danno per l’ambiente montano; ridiscussione degli assetti aeroportuali; stop definitivo all’ espansione degli allevamenti intensivi e realizzazione di un programma per il loro superamento; approvazione delle 4 leggi di iniziativa popolare regionale in tema di acqua, rifiuti, energia e stop al consumo di suolo. Infine, la manifestazione ha sottolineato la nostra contrarietà al ddl 1660 “sicurezza”, la svolta repressiva, al venir avanti di un’economia di guerra che rilancia l’economia fossile e, ovviamente, vista anche la concomitanza con le manifestazioni che si sono svolte sempre il 26 ottobre in diverse città, il nostro impegno per affermare la pace, partendo dalla cessazione del fuoco in tutte le aree di guerra. La nostra iniziativa continuerà anche nel prossimo periodo di tempo e ci attendiamo che anche la politica e le amministrazioni si misurino con le questioni che abbiamo avanzato con la manifestazione di oggi. ”
Comitato Besta, lì 27/10/2024
Giro di vite, dall’anti-rave alla demonizzazione degli stupefacenti alla guida come dispositivi di controllo e irregimentazione
Appunti d’autunno 2023, ancor validi…
Con l’avvento del Governo Meloni e accoliti a Palazzo Chigi abbiamo “assistito” come primo show reazionario alla triste e becera iper-spettacolarizzazione del “Whichtek” a Modena, che ha fatto da apripista all’introduzione del disegno di legge “Anti-Rave”; questo, dopo qualche ritocco e qualche malumore sull’incostituzionalità del pacchetto, è poi divenuto legge a fine 2022. Il target, che inizialmente pareva colpire qualsiasi forma di raduno non autorizzato per questioni di “sicurezza pubblica”, è quantomai evidente: la demonizzazione dell’alterità e della non subalternità di forme di espressione non conformi alle direttive del potere, sia statale che locale, e non mercificabili. Nondimeno, quando si parla di contesti come i “rave” e i “freeparty”, l’accento sulla pubblica “sicurezza” e sul pubblico “decoro” cade sovente sulla libertà di circolazione e di uso di sostanze illecite, dinamiche pertanto soggette a sanzioni, perseguibili e punibili.
Il grado di perseguibilità che lo Stato nelle sue forme di rappresentanza applica di volta in volta discende non tanto dalla nocività presunta del consumo e delle sue forme di distribuzione, quanto dal contesto socio-culturale e dalle forme di consenso che vengono plasmate dalla e per la sfera pubblica.
Ci siamo trovati dopo il rave di Ferragosto del 2021 di Valentano a una spaventosa distorsione mediatica, come descrive benissimo il fumetto di Van San Nalsc, di demonizzazione a 360° a cui sono succedute diverse misure atte a serrare le fila della repressione contro questi raduni, con tanto di annunciazioni a mezzo stampa su “coordinamenti interforze anti-rave” tra prefetti e questure regionali, interventi polizieschi (Toscana, Sicilia, Emilia-Romagna, Salento e via discorrendo), migliaia di fogli di via comminati in occasione di diverse feste, minacce di applicazione di dispositivi come la sorveglianza speciale ad alcuni membri di crew che han portato avanti la pratica della riappropriazione di spazi dismessi da ormai generazioni.
Nondimeno, da due anni, l’accanimento della stampa non solo destrorsa ha portato a inflazionare il termine “rave” a tutte quelle forme di diversione giovanile riducibili a problema, o presunto tale, di ordine pubblico: così nel processo vorticoso che instilla una percezione differente dal significato terminologico antecedentemente datosi, è divenuto rave il bivaccare in un parco quanto ascoltare musica dal telefonino nelle piazze bevendo due birre, finanche a karaoke non autorizzati nei locali.
È attraverso questo humus allarmista (o meglio, una brodaglia) che si è arrivati al decreto anti-rave. E’ importante collocare bene questo avvenimento all’interno della digressione culturale e del restringimento progressivo delle libertà di espressione e di manifestazione all’interno del paese e più in generale nella Fortezza Europa: solo tra dieci e quindici anni fa le piazze dei principali centri urbani erano spazi fruibili alla sosta e all’interscambio tra persone senza limitazioni orarie, ora sono quasi attraversate costantemente più da pattuglie – non di rado da militari – che da persone, per dare una idea. In questo contesto il decreto anti-rave, che demonizza una modalità di incontro ed espressione già di per sé illegale e anti-autoritaria, è la cristallizzazione del termometro sociale riguardo a forme spontanee di alteritá e insubordinazione cosciente, frutto di un processo ultra-decennale.
L’ alteritá passa, indubbiamente, anche dalla libertà di assunzione e di sperimentazione individuale e in forma collettiva di sostanze, la cui illegalità è dettata non solo dall’inasprimento delle pene e dall’intensificazione della mano poliziesca, quanto e in misura abbastanza rilevante dall’installazione del clima fobico e della percezione di pericolosità per l’individuo proprietario nei territori in cui vive.
Non è forse questo il medesimo meccanismo delatorio visto anche durante le restrizioni del Covid, che ora si traduce nelle app di vicinato e nelle continue segnalazioni di giovani che spendono la loro.. giovanilità (passateci il termine) privati degli ultimi spazi ‘pubblici’ rimasti, comunque già ristretti e soffocati? Ecco qui che il ‘rave’, il suo anticonformismo e il suo divenire spazio pubblico temporaneo attraverso modalità di de-privatizzazione, diviene un mostro. Le tecniche di repressione e controllo a queste forme determinano anche il grado di irregimentazione sociale, e di affinamento di dispositivi securitari estensibili e adattabili. E fanno sponda sulla extra-mediatizzazione di fenomeni complessi e contraddittori quali quelli dello spaccio e del consumo. Non a caso si è visto, con l’insediamento di Meloni-Piantedosi una propaganda sempre più serrata contro le micro-criminalità, con controlli a tappeto nei quartieri a maggiore impatto dei principali centri-urbani; in questa modalità convivono sia l’irregimentazione psico-sociale del “cittadino”, che deve sentire la presenza poliziesca che lo circonda, e avvalersi di essa per il SUO “bene”, e il tracciamento delle persone che sfuggono alle logiche di mercato convenzionali, a partire da quello del lavoro e del consumo normato.
Questa volontà non velata di implementazione stringente del ruolo della Polizia nella vivibilità delle persone è oltremodo confermata dall’inasprimento sollecitato nel nuovo Codice della Strada proposto dall’attuale ministro delle Infrastrutture. Se gli aspetti sanzionatori sono il cuore di tale disegno, non si può non notare quanto ci si soffermi in particolare sulla demonizzazione e criminalizzazione ulteriore di chi verrebbe trovato alla guida sotto sostanze stupefacenti. Un asset proibizionista tout court cavalcato in pompa magna da Salvini in persona, che si innesta sul solco della “guerra agli indisciplinati”, e che sposta il focus mediatico più sulla presunzione di pericolosità di una persona sotto effetto di droghe che su altre dinamiche come gli stupri e gli incidenti dettati da alcol, per dirne due..
Lo si nota accendendo il TG nazionale, dove per settimane la propaganda proib. sta facendo doppia leva sulle dichiarazioni di Salvini da un lato, e dalle “incredibili” operazioni delle FdO con retate anti-spaccio, inflazionando anche qui lo spazio e il tempo di consumo delle notizie a prescindere dall’importanza effettiva che esse potrebbero avere in TG nazionali o regionali..
Riprendendo le puntuali osservazioni di fuoriluogo.it:
“Salvini vuole introdurre una presunzione di colpevolezza dei consumatori di sostanze, in un tentativo surrettizio di inasprimento della già severissima normativa sulle droghe.Tanta enfasi non trova giustificazione nei numeri, né tanto meno in un vuoto normativo. L’art. 187 del Cds prevede già l’arresto fino ad un anno, l’ammenda fino a 6000 euro e la sospensione della patente, ed il Codice penale considera le aggravanti nel caso di omicidio stradale. I numeri poi non permettono di annoverare il fenomeno fra le prime cause di incidenti stradali. I dati puntualmente anticipati dal Libro Bianco sono stati confermati dalla relazione del Governo depositata il 19 luglio scorso, e malgrado si sappia che “se torturi i dati abbastanza, alla fine confesseranno quello che vuoi” (D. Huff, 1954), è difficile mascherare in qualche modo il fallimento sociale della normativa sulle droghe. La Relazione al Parlamento riporta infatti che solo nell’1,6% degli incidenti del 2021 è stata rilevata l’alterazione dello stato psico-fisico per uso di stupefacenti di uno dei conducenti. Nella relazione di quest’anno vengono anche buttati lì i dati sulla positività nelle analisi tossicologiche su persone decedute per cause violente. Fra i 780 casi del 2022, 103 fanno riferimento a morti sulle strade. Questi, come sanno bene i tossicologi, non dicono molto sulla effettiva influenza che la sostanza può aver avuto nella dinamica dell’incidente, non solo perché incompleti e parziali (manca il numero totale dei test, e non tutte le vittime vi sono sottoposte), ma soprattutto perché le sostanze psicoattive rimangono presenti nei liquidi biologici per molto tempo dopo aver terminato l’effetto alterante. Non trova poi alcuna giustificazione la presenza dei dati relativi al totale degli omicidi colposi a seguito di incidente stradale, che è un dato generale e non circostanziato all’uso di sostanze.”
Ci sembra importante cercare di inquadrare dunque la discriminazione accentuatasi negli ultimi anni contro il mondo raver all’interno di un disegno più ampio di limitazione, in un crescendo esponenziale, di libertà di espressione individuale quanto collettiva, ma non solo: il rischio di un ulteriore giro di vite proibizionista volto a creare e sofisticare dispositivi di repressione contro reietti, poveri e categorie già di per se discriminate, a partire da un controllo sempre più capillare delle forme di relazione, movimento e aggregazione nel territorio.. E’ da questa constatazione che si dà, tra altre, la necessità – per affermare e accrescere le potenzialità del movimento free-tekno e dei free-party – di guardare ai territori e di connettersi ancor di più con essi e le forme che li vivono e che in essi lottano. A riguardo di questo clima di demonizzazione delle alterità nel “bel Paese” segnaliamo l’ingresso del CBD nella tabella delle sostanze stupefacenti, e il relativo ritiro dai negozi appositi, come ulteriore assist all’industria farmaceutica tradizionale?